La polizia ci ha chiuso l’acqua (tra le 300 e 400 persone la usavano per bere e lavarsi); non ritirano più la spazzatura per ordine della prefettura; e hanno tentato di sabotarci la cucina due volte: la prima volta rubando il regolatore di flusso del gas della bombola, la seconda volta tagliando a pezzetti il tubo che collega la bombola ai bruciatori. D’altra parte lo sapevamo che dopo l’attentato di Nizza il governo francese ha di nuovo il pretesto per schierare l’esercito al confine, per lanciare i cani contro i migranti che cercano di passare, per elargire botte come se fosse normale. E anche il governo italiano ne approfitta per proseguire con le deportazioni di migranti da Ventimiglia, continuando inutilmente a disperderli nel resto d’Italia (e comincerebbe pure a deportarli direttamente in Africa, rimandandoli in contesti di guerra e dittature, come già fanno in Francia, non appena sarà possibile farlo). Proseguono le violenze per mezzo di scariche elettriche, botte, intimidazioni psicologiche, privazione del sonno e del cibo finché i migranti non cedono, consegnando le loro impronte da inserire nel sistema EURODAC. In questo contesto in cui ogni motivo è buono per reprimere e mettere in prigione o per dare misure restrittive ai solidali, insomma, in questo contesto di guerra ai poveri e a tutti i pensieri e le pratiche critici, in questo contesto in cui i soliti ricchi e potenti hanno stretto la presa del controllo, e’ chiaro che una collettività organizzata di migranti e solidali al confine fa paura.
Sappiamo benissimo che la repressione nei confronti di questo campo, così come i tentativi di sabotaggio da parte dello stato e delle varie organizzazioni complici, non si fermeranno qui. Tenteranno come sempre di separarci, perché lo sanno che siamo molto potenti quando siamo insieme. Però vale e valeva la pena tentare. Perché solo così i nodi stanno venendo al pettine.
Tutto è cominciato di nuovo il 16 luglio. Circa 400 migranti vengono fatti uscire dalla chiesa di S. Antonio del quartiere delle Gianchette. Dietro di loro le porte si chiudono definitivamente. La decisione avviene in seguito ad una rivolta popolare del quartiere. Le Gianchette è uno dei quartieri popolari di Ventimiglia, che probabilmente non ha gli spazi e le risorse per accogliere e supportare 1200 persone in viaggio (questi i numeri nei momenti di maggior afflusso alla chiesa). La nota inettitudine ed incapacità della municipalità, unita alla furbizia di prefettura e questura, hanno creato una guerra tra poveri che alla fine è riuscita a far accettare, anche alla parte più critica della città, un sistema di controllo e disciplinamento dei migranti in viaggio, composto di deportazioni e di un campo governativo gestito dalla Croce Rossa, che, solo due mesi fa, questa parte di città non avrebbe mai accettato.
Da sabato 16 all’esterno della chiesa e sotto il cavalcavia di via Europa si rifugiano circa duecento persone, mentre un altro centinaio comincia a radunarsi in una ex stalla di cavalli a poche decine di metri dal campo della Croce Rossa. La Caritas e le associazioni della città hanno infatti intavolato una trattativa con la prefettura, che porta quest’ultima a «tollerare» quel posto. I migranti potevano sostare lì in attesa che il campo governativo fosse pronto, ovvero che raggiungesse una capienza maggiore. Sabato il campo della CRI aveva una capienza di un centinaio di posti, poi rapidamente saliti a 180. Oggi siamo ad una capienza di 360.
Martedì 19, nonostante la Caritas avesse assicurato, in un’assemblea con i migranti ospitati in chiesa, che nessuno sarebbe stato trasferito con la forza e che avrebbero potuto decidere liberamente se trasferirsi nel nuovo campo o no, avviene lo sgombero delle persone che dormivano sotto il cavalcavia di via Europa. Un blindato della polizia, accompagnato da un ducato e parecchia digos, arriva verso le 18: la polizia scende in massa, i migranti scappano lungo il fiume. Qualcuno sottovalutando il pericolo torna in strada e lì viene catturato. Ne prendono almeno una decina, e la mattina dopo verranno deportati verso la Sardegna e Taranto, insieme ai molti fermati nei treni da Genova a Ventimiglia e ai molti che hanno tentato di passare il confine tra Francia e Italia durante la notte, venendo respinti.
Dopo la deportazione, il gruppo che occupa l’ex stalla si consolida. Si passa rapidamente da un centinaio di persone ad almeno il doppio. Andiamo lì. Nessuno se ne sta occupando, quindi andiamo noi. Non c’è acqua, né cibo e poche coperte. I migranti hanno una fame atroce. Le persone si picchiano per una banana o un pezzo di pane. E allora ci tiriamo su le maniche, portiamo una bombola, e per due giorni cuciniamo ininterrottamente.
Portare una bombola con del cibo da cucinare lì, per noi era significativo. Si trattava di uscire dal sistema di assistenzialismo in cui i migranti erano rimasti intrappolati per due mesi, che li aveva resi egoisti e non organizzati in collettività. Portare una bombola è stato il primo passo per stimolare un’organizzazione collettiva. Mettersi in coda per ricevere un sacchettino con del tonno, un pezzo di pane e una mela, riproduce la dinamica disciplinante di un sistema assistenziale che va di pari passo col sistema di repressione e controllo. E’ la vittima che si mette in coda per un piatto. E’ la vittima che spende 140 euro per passare il confine con un passeur. E’ la vittima che accetta di essere deportato senza opporre resistenza.
E’ da esseri umani cucinarsi da soli un piatto.
E’ da essere umano cucinare il pranzo per tutti.
Vivere insieme, cucinare insieme, permette piano piano di cominciare anche a fare assemblee insieme. Le prime assemblee sono di «gestione» del campo. Una di queste viene interrotta volutamente dalla Caritas. Qualcuno si accanisce poi con la bombola del gas. In pochi giorni ci sabotano due volte la cucina. Risolviamo in fretta. Dopo l’ultimo sabotaggio, i migranti indicono da soli un’assemblea, in cui è presente un solo europeo che non interviene. Una bellissima assemblea, in cui i migranti affermano che difenderanno quella cucina, perché è l’unico strumento che hanno di indipendenza. Quando le associazioni smetteranno di portare lì il cibo, quella bombola permetterà loro di continuare a sopravvivere.
Finalmente riusciamo ad allacciare l’acqua. Rimane vergognoso e schifoso il fatto che la prefettura possa «tollerare» un posto in cui i migranti attendono di entrare nel campo governativo, senza fornire loro i minimi servizi essenziali, quali l’acqua e dei bagni.
Nel frattempo, a pochi metri, il campo della Croce Rossa allarga la sua capienza a 360 posti. Il problema è che i migranti preferiscono restare nell’ex stalla, piuttosto che entrare nel campo governativo. Gli ultimi dati sono di un’ottantina di migranti all’interno del campo gestito da Croce Rossa, e circa 300 persone invece nell’ex-stalla. Da quando siamo lì, quotidianamente riceviamo attacchi verbali da volontari più o meno vicini alla Croce Rossa che ci accusano di dare informazioni sbagliate ai migranti, e che sarebbe per queste informazioni che i migranti non accedono al campo. Non è necessario che diciamo nulla ai migranti: si tratta di un campo che per quanto aperto possa voler essere è sempre un campo chiuso, in cui devi avere una tessera con relativo codice a barre e foto per risiedere e una scheda di registrazione per accedere a medico, bagni e pasti. I migranti temono che un giorno i cancelli, visto che ci sono, si chiudano e che le foto del tesserino, visto che sono salvate nei computer, possano contribuire ai respingimenti e alle deportazioni.
Si tratta di un campo governativo gestito da un’organizzazione militare come la Croce Rossa. Come possono i migranti fidarsi del governo italiano, visto che tollera le scariche elettriche e le botte per prendere loro le impronte?
Caritas e prefettura di Imperia dichiarano che il campo della CRI è innovativo e investono molto in questo nuovo progetto. E richiedono supporto e collaborazione ai volontari nella distribuzione dei pasti, nell’accompagnamento dei migranti dell’ex stalla alle docce del campo governativo nelle ore consentite, nel rassicurarli rispetto a Croce Rossa e campo. E anche questa è la solita dinamica che abbiamo già visto in molti confini: l’assorbimento del volontariato nei progetti governativi, permette al governo di rendere le parti più critiche della città complici del sistema di controllo dei migranti in viaggio.
Ed ecco che la Ventimiglia più critica, adesso collabora ed è complice del governo.
Due giorni fa è arrivato un noto digos che accompagnava un tecnico e ha chiuso l’acqua. Tra le trecento e le quattrocento persone non hanno accesso all’acqua, a meno che non risiedano nel campo della CRI. Quotidianamente i migranti ricevono pressioni più o meno forti per entrare in questo campo. Oggi la digos ha diffuso la minaccia che in pochi giorni sarà sgomberata l’ex stalla e i migranti saranno obbligati ad entrare nel campo governativo.
Impediamoglielo. Portiamo cibo, taniche d’acqua, stiamo lì più che possiamo.
Non facciamoci separare.