Il freespot nasce da bisogni e desideri che assillano chi si scontra con il confine: dare vita ad uno spazio di libertà e solidarietà sul territorio di Ventimiglia, un punto di riferimento per le tante persone in transito sul confine italo-francese, un osservatorio permanente della repressione in corso.
Per arginare i flussi migratori, le nuove direttive dell’Unione europea prevedono la creazione degli “hotspot”, strutture allestite per identificare rapidamente, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti. Le persone così identificate dovrebbero quindi essere deportate secondo le quote di ripartizione stabilite tra i vari paesi dell’UE. Questo piano sta velocemente fallendo, grazie alla resistenza dei migranti a farsi identificare in Italia, all’incapacità istituzionale di realizzarlo e alla litigiosità dei vari populismi europei.
In giro per l’Europa, da Lampedusa a Marsiglia via Roma, Milano, Torino e Ventimiglia fino a Parigi e Calais stanno invece nascendo tanti “freespot”, degli spazi aperti, frutti delle lotte, che rimangono fruibili da chi vive i territori e da chi li attraversa, luoghi in cui si pratica solidarietà attiva e mutuo aiuto fuori dalle logiche istituzionali e di mercato, e in supporto alle lotte dei migranti. Noi abbiamo scelto questa strada.
Lo spazio “freespot” intende essere un punto di riferimento per le persone in viaggio, per chi decide di rimanere e per il territorio. Vuole essere al contempo luogo di memoria delle resistenze passate e spazio di autorganizzazione per il presente ed il futuro. Un modo per condividere i tanti saperi e pratiche che possono aprire la via ad un mondo senza frontiere. Un ritrovo dove poter scambiare emozioni e racconti, dove le conoscenze individuali possano divenire conoscenze condivise e collettive. Ripartire da qui, da un luogo da riempire con attività di vario tipo, che vanno dai workshop legali ai corsi di lingua e di geografia, dai dibattiti alla mensa popolare. Da un luogo libero e aperto dove le persone in fuga possono tirare il fiato, riposarsi e riorganizzarsi. Dove si possono condividere i propri bisogni, siano essi vestiti o libri, cibo o aria, e insieme procurarsi ciò che serve. Uno spazio attraversabile senza braccialetti di ogni genere o orari prestabiliti, dove non è un documento a permetterti l’entrata.
Il bisogno più grande rimarrà sempre la libertà: anche per questa ci stiamo organizzando.
Ventimiglia, il confine e gli scogli
A partire dall’11 giugno 2015 gli scogli di Ventimiglia sono diventati espressione della resistenza e della determinazione a vivere e viaggiare in libertà di tante persone che, lasciati i propri Paesi di origine in Africa o Medio Oriente, hanno deciso di cercare una vita diversa attraversando i confini della Fortezza Europa. Per più di cento giorni migranti provenienti da Sudan, Eritrea, Somalia, Pakistan, Siria e tanti altri paesi, insieme a solidali da tutta Europa, hanno dato vita al Presidio Permanente No Borders di Ventimiglia, un spazio di lotta e vita in comune contro tutte le frontiere.
L’estremo ponente ligure è da sempre uno spazio di frontiera, attraversato da flussi di varia umanità: emigranti e contrabbandieri che facevano affari dai due lati del confine, socialisti, anarchici, antifascisti sulla via dell’esilio, poi gli ebrei che prima e durante la Seconda Guerra Mondiale fuggivano dalle persecuzioni e nel dopoguerra gli slavi che volevano raggiungere la Francia. Negli anni ’90 gli accordi di Schengen aboliscono ufficialmente le frontiere per le merci e i cittadini europei. La repressione contro gli stranieri si fa più brutale e più specifica, il dispositivo cambia. La frontiera oggi non è più una linea ma un intero territorio capillarmente controllato da pattuglie e posti di blocco di polizie a caccia di migranti senza documenti. Nel 1995 una pattuglia della PAF (Police aux Frontieres) apre il fuoco su una carovana proveniente dall’ex-Yugoslavia uccidendo un bambino di otto anni, Todor Bogdanovic. Poi i curdi nel 1998, come le proteste dei tunisini nel 2011, diventano oggetto di isterie collettive, campagne d’odio xenofobo contro persone in viaggio ridotte a numeri di improbabili “crisi umanitarie”.
Il confine italo-francese di Ventimiglia si trova oggi sulla rotta che dagli sbarchi di Lampedusa va in direzione di Calais, ultima, terribile frontiera prima di raggiungere l’Inghilterra, meta sognata da molti. A Ventimiglia il confine ha mille volti, mille forme, tutte ugualmente spregevoli. Ci sono i controlli razziali nelle stazioni e nelle strade di tutta la Costa Azzurra. C’è la giostra delle riammissioni, una ruota che vede alternarsi forze di polizia italiane e francesi nella deportazione dei migranti da un paese ad un altro, da un centro a un altro, che ci ricorda le pagine più buie della nostra storia. Poi ci sono i passeur, che del confine fanno un business, e continuano ad esistere unicamente perché alle persone non è data la possibilità di superare autonomamente il confine. Ecco come si gestisce un confine, fermando i migranti a piedi e lasciando passare il grosso delle macchine dei passeur, legittimando così la guerra ai migranti in nome della lotta contro il traffico di essere umani. Il problema rimane il confine e la sua moltiplicazione infinita.
Dopo lo sgombero del presidio No Borders, la Croce Rossa è nuovamente stata investita della carica di gestore unico di un’emergenza creata dalle politiche razziste dell’Unione ed è diventata progressivamente parte integrante della macchina del controllo territoriale, predisponendo l’accoglienza di chi viene riammesso dalla Francia e identificando obbligatoriamente tutti i migranti che entrano nel centro adiacente alla stazione. Ogni forma di solidarietà verso le persone in viaggio continua a essere repressa dai due lati del confine e diventa accettabile che ci sia un campo profughi a 15 km dal principato di Monaco. Basta che non sia visibile, che si dimostri l’efficacia del dispositivo e che non rovini la vetrina d’ingresso nella ricca Côte d’Azur.
L’attuale stato di emergenza in Francia non ha inciso in profondità sul controllo messo in atto sul territorio, salvo aver spettacolarizzato la presenza in frontiera con armi da fuoco e mezzi militari. “Emergenza profughi”, COP21, “allarme attentati”, stato di emergenza ecc. non sono altro che pretesti utili a rafforzare la spinta securitaria di questi ultimi anni. In questo modo aumenta l’arbitrio delle forze di polizia e si restringono gli spazi di libertà per tutte e tutti. Anche per questo resistiamo al confine!
Tra poco lanceremo una campagna di crowdfounding con la quale intendiamo sostenere le spese e le utenze dello spazio, i costi di materiali vari e soprattutto finanziare una parte delle attività che in esso si svolgeranno. Ci impegnamo a costruire un centro di documentazione sulle politiche di frontiera, un osservatorio contro la repressione e a produrre materiali di divulgazione che affrontino criticamente questi argomenti. Il freespot sarà inoltre un luogo dotato di computer e wifi a disposizione di tutti, freeshop di vestiti e altri utensili, materiali informativi per richiedenti asilo aggiornati e tradotti in più lingue. Lo spazio sarà per sua natura aperto e a disposizione di chi lo attraversa. L’intento è che sia sempre più uno spazio delle persone in viaggio, dove i bisogni vengono definiti dai primi interessati.
Il percorso avviato non si arresta, si evolve, assume nuove forme e chiede la collaborazione direttamente a quanti siano sensibili all’argomento e vogliano supportare in questo modo il nostro progetto.
We are not going back!