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18 dicembre 2015: al tribunale di Grasse, è la solidarietà che è messa sotto accusa!

Traduciamo e riportiamo il comunicato di tante associazioni francesi in sostegno a Claire, un’attivista accusata di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Il 18 dicembre a Grasse ci sarà il processo, noi saremo insieme a lei per sostenere la solidarietà verso chi lotta contro i confini per la libertà di movimento di tutti e tutte.

 

18 dicembre 2015: al tribunale di Grasse, è la solidarietà che è messa sotto accusa!

Il 13 Luglio, Claire, professoressa universitaria ora in pensione ed attivista, viene fermata alla stazione di Antibes dalla PAF (polizia di frontiera francese) mentre accompagnava un minore e una giovane donna, entrambi rifugiati che desideravano prendere un treno in direzione Nord Europa.

Quale l’accusa contro questa tranquilla pensionata?

É sospettata di aver “facilitato, attraverso un aiuto diretto o indiretto, l’ingresso illegale, il movimento ed il soggiorno irregolare dei due stranieri in Francia”, cioè di essere una trafficante di esseri umani (cfr passeur).
Claire è stata ammanettata, interrogata, tenuta in garde à vue per 24 ore, perquisita la sua casa, il suo cellulare messo sotto sequestro.

La volontà di intimidire gli attivisti e solidali era evidente.

Claire dovrà comparire davanti al tribunale di Grasse il 18 dicembre 2015.

Questo 13 luglio, Claire agiva all’interno della presenza attiva di realtà associative che monitoravano le stazioni internazionali delle Alpi Marittime, una presenza resa necessaria dalla chiusura della frontiera franco italiana e dai controlli sistematici e razzisti operati dalla polizia sui treni nelle principali stazioni.

Ogni giorno i media trasmettono immagini insopportabili di profughi che scappano da terribili guerre civili, il pubblico ministero di Grasse avrebbe voluto che Claire, indifferente, lasciasse i due giovani disorientati cercare la strada per la stazione di Antibes? Aiutando i rifugiati a trovare la strada, Claire ha agito come migliaia di cittadini di questo paese avrebbero potuto fare: mostrando semplicemente umanità, soltanto umanità.

Amnesty International – Alpes-Maritimes

Association pour la démocratie à Nice (ADN)

Cimade 06.

Comité de vigilance des Alpes-Maritimes (CO.VI.AM).

Habitat et citoyenneté.

Groupe d’information et de soutien des immigrés (GISTI).

Ligue des droits de l’Homme (LDH) Sections de Nice et Cannes-Grasse.

Mouvement contre le racisme et pour l’amitié entre les peuples (MRAP ). Comité Nice – Grasse

Réseau éducation sans frontières (RESF) 06.

Syndicat des avocats de France (SAF) Section de Nice

Syndicat de la magistrature (S.M) 06


14 dicembre: Appello per una giornata di lotta contro le frontiere e la repressione poliziesca (da Calais Migrant Solidarity) [ITA-ENG-FR]

(da Calais Migrant Solidarity)

“Volevano seppellirci, non sapevano che siamo semi.”

Negli ultimi mesi, da Ventimiglia a Calais, la violenza di stato contro coloro che viaggiano senza documenti è aumentata.
Abbiamo visto ciò nella reintroduzione dei controlli alla frontiera di molti stati della zona Schegen che (tra le altre cose) hanno prodotto nuove jungle in diversi luoghi come Ventimiglia, fino al successivo sgombero violento di quel campo il 30 settembre, nel significativo aumento della polizia francese ed inglese a Calais (e talvolta dell’esercito), o ancora nella proliferazione delle misure che impediscono alle persone di ottenere i documenti di viaggio europei in prima battuta. Chi solidarizza con le persone in viaggio ha, a sua volta, subito un maggiore livello di repressione.

Il 14 dicembre, due persone legate alla rete No Borders affronteranno un processo a Nizza e Boulogne, in Francia. Uno di loro è stato arrestato semplicemente per il fatto di essere stato davanti alla postazione frontaliera di Menton (dal lato francese del confine con l’Italia, vicino a Ventimiglia) durante una delle tante deportazioni di persone dalla Francia all’Italia. L’altro attivista è accusato di aver organizzato le rivolte nella jungle di Calais, il che è ridicolo, visto che coloro che vivono nella jungle sono perfettamente in grado di decidere da sé la propria azione politica.

Questi due processi mostrano chiaramente la volontà dello stato francese e inglese di colpire la rete No Borders, che per tanti anni ha combattuto per la libertà di movimento di tutti, senza la quale queste situazioni di emergenza umanitaria che creano rifugiati non saranno mai risolte.

Ora lo stato francese sta provando a mettere il bavaglio a qualsiasi espressione di dissenso che vada contro l’obbiettivo di istituire uno stato di emergenza, nel quadro di una Fortezza Europa che di nuovo rinforza un fuori e un dentro. Noi dobbiamo, ora più di prima, affermare la nostra determinazione e la nostra unità contro le strategie repressive dello stato.

Reagiamo e facciamo si che il 14 dicembre sia una giornata di azione contro la repressione di stato, ma soprattutto contro tutti i confini, contro le deportazioni e contro tutti gli stati nazione.

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December 14th, a call to fight borders and police repression

‘They tried to bury us. They didn’t know we were seeds’

In recent months, from Ventimiglia to Calais, state violence has increased against those who travel without papers. We see this in the re-introduction of border controls in various states in the Schengen zone that (among other things) resulted in new jungles in places like Ventimiglia, to the subsequent violent destruction of that jungle on the 30th of September, to the vast increase in French and British police in Calais, (plus the army at times), not counting the proliferation of measures that deny people access to European travel papers in the first place. Those who stand in solidarity with them have faced increased levels of repression too.

On December 14th, 2 people connected to the No Border Network will stand trial in Nice and Boulogne, France. One of them was arrested simply for being present in front of the border police station of Menton (on the French side of the border with Italy, close to Ventimiglia) during one of the many deportations of people from France to Italy. The other is accused of having organised riots in the Calais jungle, which is ridiculous, as those living in the jungle are perfectly capable of taking political action on their own intitiative.

These two trials show the willpower of the french and british state to break up the No Border Network, which has struggled for many years for the freedom of movement for all, without which those humanitarian emergency situations that create exiles will never be solved.

Now the french state is trying to muzzle any expression that stands against its goals by establishing a state of emergency, within a Fortress Europe that again reinforces an inside and an outside. We have to, now more than ever, affirm our determination and our unity against the repressive strategies of the state.

Let’s fight back and make December 14th a day of action against state repression, but above all against borders, against deportations and against all nation states.

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14 Décembre : Appel à combattre les frontières et la répression policière

“Ils ont essayé de nous enterrer. Ils ne savaient pas que nous étions des graines”.

Les derniers mois, de Vintimille à Calais, la violence d’état s’est accentuée contre les personnes voyageant sans papiers. Nous constatons ceci dans la réintroduction des contrôles aux frontières au sein de l’espace Schengen qui ( entre autres) a eu pour conséquence la création de nouvelles jungles à différents endroits comme à Vintimille, à la destruction violente de cette jungle le 30 septembre, à l’importante augmentation des effectifs de police britannique et française à Calais ( et parfois même l’armée), sans oublier la prolifération des mesures qui empêche les personnes d’obtenir des papiers de voyage européens en premier lieu. Ceux qui se dressent en solidarité avec eux ont également fait face à une augmentation des niveaux de répression.

Le 14 décembre, 2 personnes en lien avec le réseau No Border passeront en procès à Nice et à Boulogne, en France. L’un d’eux a été arrêté simplement parce qu’il était présent devant le poste-frontière de Menton ( du coté français de la frontière avec l’Italie, proche de Vintimille) lors d’une des nombreuses déportations de personnes de la France vers l’Italie. L’autre est accusé d’avoir organisé des émeutes dans la jungle de Calais, ce qui est ridicule, puisque ceux qui vivent dans la jungle sont parfaitement capables de faire des actions politiques de leurs propres initiatives.

Ces deux procès montrent la volonté des états français et britanniques de casser le réseau No Border, qui luttent depuis plusieurs années pour la liberté de mouvement pour tous, sans laquelle ces situations d’urgence humanitaire qui créent l’exil ne seront jamais résolues.

Désormais, l’état français essaye de museler toute expression qui contrecarre ses buts en instaurant un état d’urgence, à l’intérieur d’une Europe Forteresse qui renforce une fois de plus la notion d’un intérieur et d’un extérieur. Nous devons, plus que jamais, affirmer notre détermination et notre unité contre ces stratégies répressives de l’état.

Ripostons et faisons du 14 décembre une journée d’action contre la répression étatique, mais avant tout contre les frontières, contre les déportations et contre tous les états-nations.

 

 

Contro la criminalizzazione della solidarietà ai migranti

Pubblichiamo la traduzione del comunicato dei No Borders che si trovano alla Jungle di Calais che chiarisce sui fatti repressivi in corso al campo soprattutto nell’ultima settimana.

Nei giorni scorsi gli attivisti No Borders presenti a Calais hanno vissuto una repressione sempre più violenta da parte della polizia e sono stati falsamente accusati, attraverso i media internazionali, di incitare i migranti del campo alla rivolta.
Come il nostro gruppo ha spiegato in una dichiarazione pubblica, questo tipo di accuse sono infondate, ridicole e razziste, oltre a essere un chiaro tentativo di criminalizzare il nostro movimento sviando l’attenzione dai veri responsabili della situazione attuale. In particolare i governi di Francia e Regno Unito, che hanno deciso di scatenare una vera e propria guerra contro delle persone che stanno solo tentando di salvare la propria vita.

I No Borders non sono né un’organizzazione né un’associazione, sono una rete trans-nazionale di gruppi e individui che si oppongono alle frontiere e rivendicano libertà di movimento per ogni essere umano.

A Calais il nostro gruppo è relativamente piccolo, decisamente più ristretto delle 50 persone dichiarate dai media. Gli attivisti presenti durante gli scontri delle scorse notti si trovavano lì per svolgere compiti essenziali come aiutare a curare i feriti causati dalla polizia, quelle persone colpite dai loro manganelli e dai loro candelotti di lacrimogeni. I candelotti di CS sono stati sparati fin dentro al campo e hanno ferito molte persone, incluse svariate famiglie che non avevano avuto niente a che fare con le proteste. Gli attivisti No Borders erano lì anche per documentare le violenze della polizia. Inoltre il nostro gruppo è normalmente coinvolto nella gestione di un blog (Calais Migrant Solidarity), e uno sportello informativo nella jungle, nel quale vengono fornite informazioni riguardati le procedure di asilo nel Regno Unito e nel resto d’Europa, oltre a condividere informazioni sui servizi ai quali i migranti possono accedere a Calais.

La scorsa domenica le autorità cittadine hanno permesso all’estrema destra locale di organizzare una manifestazione in città, incitando l’odio razziale, urlando minacce di morte e bruciando un Corano su boulevard Jacquard (la via principale di Calais). A sera cinque nazi incappucciati hanno attaccato alcuni migranti nelle vicinanze dell’Eurotunnel. Questi avvenimenti hanno ragionevolmente turbato nel profondo le persone che vivono nel campo, e crediamo che siano stati alla radice delle ragioni delle proteste dei giorni scorsi.

Vediamo nel recente picco repressivo una crescente tendenza alla criminalizzazione della solidarietà attiva verso i migranti. In questo senso la polizia ha iniziato a controllare i volontari che tentano di entrare nella jungle e a interrogare molti di loro, una volta tornati in Gran Bretagna, sotto il “Protocollo n. 7” del Terrorism Act del 2000.

In Francia le elezioni regionali sono ormai alle porte, e crediamo che i politici reputino estremamente vantaggioso trovare qualcun altro da incolpare per la condizione disumana e intollerabile di Calais. In ogni modo, rifiutiamo con determinazione i tentativi dei governi francese e britannico di usare il nostro movimento come capro espiatorio per quegli stessi problemi che essi stessi hanno causato. Vogliamo invece mettere in luce i veri problemi che hanno portato molti migranti a esprimere la propria rabbia durante gli scorsi giorni.

Supporting refugees is not a crime ! Open the border!

VOI CRESCETE RECINZIONI, NOI COLTIVIAMO TENAGLIE. VOUS FAITES POUSSER DES GRILLAGES, NOUS CULTIVONS DES TENAILLES. [ITA] [FR] [ENG] [ESP]

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[ITA]

11 e 12 Novembre:

VOI CRESCETE RECINZIONI, NOI COLTIVIAMO TENAGLIE.

L’estate 2015 non la scorderemo facilmente. Migliaia di persone hanno reagito contro la chiusura dei confini e le politiche europee in materia di immigrazione. La determinazione di tanti e tante nel proseguire il proprio viaggio e nell’ottenere il riconoscimento della propria esistenza ha messo in crisi gli sbarramenti e i muri eretti a difesa della Fortezza Europa.

Da Choucha a Calais, da Budapest a Lesbo sono state tante le esperienze di ribellione: dal taglio delle reti, all’autorganizzazione di campi, alle proteste di massa nell’Eurotunnel, all’occupazione di spazi abitativi.

La rivendicazione di libertà di movimento e diritto a vivere nel luogo in cui si è scelto di restare ha sorpreso I governi europei che hanno reagito e gestito, come sempre, “questo flusso di persone” in termini securitari ed emergenziali, aumentando però l’intensità della repressione.

L’ipocrisia delle lacrime di coccodrillo per ogni strage in mare nasconde la crescente militarizzazione dei confini, le nuove recinzioni, i nuovi muri. Questa estate abbiamo assistito all’intensità crescente dei rastrellamenti sui treni, dei sempre più feroci controlli negli spazi di transito, che vanno di pari passo con la mala gestione del sistema di accoglienza, un crescente investimento nei sistemi di pattugliamento come Frontex, la finta guerra ai trafficanti e la ridefinizione di nuovi spazi semi detentivi come gli hotspots.

L’11 e 12 novembre a Valletta, capitale Maltese, l’Unione Europea e l’Unione Africana si incontreranno per discutere del destino di tutte quelle persone che stanno rivendicando il loro diritto alla libertà di movimento e residenza.

Al di là dei bei proclami, le questioni sulle quali i governi europei e africani cercheranno un accordo sono: la progressiva delocalizzazione delle frontiere verso sud, le operazioni di facciata contro le mafie che gestiscono il traffico di esseri umani, che non andranno assolutamente ad intaccare la capacità dello squalo di approfittare dei pesci, un accordo che concerti le potenze sul controllo del diritto di movimento e residenza delle persone. Quello della Valletta sarà un incontro che si pone in continuità con i processi già avviati a Rabat e Khartoum.

E’ la delocalizzazione della frontiera verso sud che ha creato il campo profughi di Choucha in Tunisia in cui cinquanta persone vivono in stand-by da quattro anni; è la delocalizzazione che legittima le pratiche di respingimento così come implementate in Tunisia. Il rafforzamento del controllo delle frontiere è la causa di chi muore tra la Spagna e il Marocco, tra la Libia e l’Italia, tra la Francia e l’ Inghilterra, tra la Serbia e l’Ungheria, tra Kobane e Suruĉ.

Lo stesso rafforzamento è la radice, in realtà, dell’aumento del costo della libertà di movimento, che cresce in proporzione alla criminalizzazione di questo diritto.

Mentre a Valletta si tenterà di consolidare ulteriormente le frontiere esterne alla Fortezza Europa, all’ interno della stessa i dispositivi, creati ad hoc per affrontare la questione della migrazione, continueranno ad essere causa dell’annullamento della libertà di movimento, residenza e autodeterminazione. Il dispositivo degli hotspots sottoporrà I migranti ad un controllo immediato, permanente e continuo; saranno obbligati a dare le proprie impronte per poi essere ricollocati arbitrariamente in un altro paese europeo o ricevere un decreto di espulsione riducendo, in tal modo, la migrazione ad una mera questione logistica.

L’ asilo politico resta l’unico canale di regolarizzazione la cui attesa si traduce in uno stato di sospensione della propria vita che può portare alla criminalizzazione della propria figura una volta che la domanda non dovesse essere accettata.

Gli strumenti di contenimento predisposti per le persone in transito si travestono da centri di accoglienza che sui blocchi politici trovano il modo di lucrare.

E’ importante mobilitarsi? E’ necessario. Perché l’essere umano esiste prima delle proprie creazioni, prima del diritto, e per questo la sua libertà di movimento e residenza deve essere il principio che muove le cose, non il crimine che va represso e controllato.

La migrazione non è qualcosa di distante; non la si incontra solamente in mare o nei barconi. Ha luogo nelle città, nelle stazioni, negli autobus e nei treni di tutti I giorni.

La mobilitazione è già in atto.

C’è chi sale sui tetti dei CIE e intonando “hurrya” trova la morte; chi occupa gli scogli per fuggire dalla repressione di Stato, chi taglia le reti che ne limitano la vita; chi a migliaia s’incammina lungo un’autostrada per rivendicare la naturalezza di attraversare uno spazio terrestre che ancora oggi, chi ci governa si ostina a chiamare confine; chi ancora, organizzandosi nella lotta prende un treno che attraversa la frontiera tra Ventimiglia-Mentone, consapevole di essere fermato una volta raggiunta la prima stazione francese, ma rimane rigoroso e testardo nel voler affermare la propria libertà di movimento.

L’11 e il 12 novembre potrebbero essere il ponte di lancio per affermare le diverse forme che la libertà di manifestare il proprio dissenso può assumere.

Lo status quo deve essere scosso fino ad un suo abbattimento consapevole e condiviso.

Dalle frontiere ai CARA e ai CIE, uniti nella lotta anche se appartenenti a diverse realtà, ribadiamo il nostro disprezzo nei confronti delle politiche statocentriche e discriminatorie.

La narrazione secondo cui il diritto garantisca l’uguaglianza fra tutti si spezza quotidianamente; è l’implementazione dello stesso diritto a creare molteplici frontiere e discriminazioni.
Uguaglianza è un concetto che non ci appartiene, perché affermiamo la libertà di essere diversi, essere noi stessi e di muoverci ovunque I nostri desideri e volontà ci spingano, noncuranti di definizioni quali “categorie a rischio”, “rifugiati” o “migranti economici”.

Per questo motivo l’11 e il 12 è importante muoversi con azioni diffuse su tutti i territori gridando ad alta alta voce:

WE ARE NOT GOING BACK!

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La Bolla

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E’ arrivata “La Bolla“: la stampa autofinanziata del fumetto di Emanuele Giacopetti che racconta la storia e la lotta del Presidio Permanente No Borders-Ventimiglia.

E’ scritta in italiano, inglese e arabo.
La storia viene riprodotta con il consenso dell’autore e della redazione di Graphic News in sostegno alle attività del presidio No Borders di Ventimiglia.

Il costo consigliato per ogni copia è di 3 euro e il ricavato andrà alla cassa di sostegno del presidio no borders di ventimiglia e alla cassa di resistenza/anti-repressione.

REPORT DELLA GIORNATA DEL 4 OTTOBRE [ITA-ENG]

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[ITA]
In seguito al violento sgombero del presidio No Border, la mattina del 4 Ottobre a Ventimiglia ci siamo radunate/i nel piazzale della stazione assieme alle/ai solidali provenienti da diverse città italiane e francesi, e una quindicina di compagni migranti con cui abbiamo resistito sugli scogli. La volontà era di ribadire fermamente che la questione dei migranti in transito non si arresta al confine, ma si riproduce in tutte le realtà territoriali dove l’arresto e la repressione rappresentano il filo conduttore portato avanti dalla Fortezza Europa.

Lo spropositato dispiegamento di forze dell’ordine ha impedito materialmente e con intimidazioni psicologiche e fisiche, la partecipazione alla manifestazione dei migranti “ospiti” nel centro di prima accoglienza della Croce rossa. La struttura che ha la presunzione di definirsi d’accoglienza si è così trasformata in una prigione. La celere ne ha bloccato ogni accesso, impedendo qualsiasi forma di contatto tra manifestanti e migranti. Ci siamo così spostati di fronte la croce rossa portando la nostra solidarietà agli schebab detenuti al suo interno e, tramite interventi e cori di protesta contro questa barriera di caschi e scudi, abbiamo preteso il loro rilascio. Data l’impossibilità di congiungersi ai migranti, il presidio, blindato su ogni lato della piazza, non ha potuto né voluto procedere in un corteo che non fosse partecipato da tutti, ribadendo la volontà di muoversi con i migranti e non per i migranti. In piazza, davanti alla stazione, abbiamo cercato di ricreare uno spazio di dialogo e discussione, data la pressione e la tensione causata dalle forze dell’ordine.
È in stazione che quotidianamente i migranti in transito sono esposti alle offerte dei trafficanti sotto gli occhi complici di polizia e Croce rossa. Ed è qui che il presidio porta avanti un’attività di monitoraggio ed informazione al fine di costruire con chi transita un’alternativa alla pressione dei passeur e all’ipocrisia dell’accoglienza istituzionale.
Ancora una volta, a Ventimiglia va in scena l’assurdo: migranti e solidali separati da un cordone di poliziotti armati, un piazzale blindato ad ogni accesso, una violenza premeditata che è esplosa in serata quando una parte del presidio aveva già abbandonato la piazza e le persone rimaste si apprestavano a riunirsi in assemblea per discutere della giornata e prepararsi alla notte. Il presidio, mentre si preparava a lasciare la piazza raccogliendo tende, coperte e scatoloni, è stato violentemente caricato alle spalle: una carica brutale, immotivata, che si è trasformata in un pestaggio e poi in una caccia all’uomo per le vie della città. Molti di noi sono rimasti contusi ( 2 portati in ospedale ) e ad un compagno residente nella zona di Ventimiglia è stato notificato un foglio di via e denunciato per resistenza.

In seguito alle profonde trasformazioni e agli avvenimenti della settimana, nonostante le difficoltà affrontate, emerge la volontà forte di continuare questo percorso di lotta, a fianco all’esigenza di ridefinirsi e di far uscire un secondo comunicato con un’analisi più attenta e consapevole del cambiamento che ci troviamo ad affrontare.

Presidio Mobile Ventimiglia
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MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALE NO BORDERS A VENTIMIGLIA – MANIFESTATION INTERNATIONALE NO BORDERS À VINTIMILLE [ITA] [FR] [ENG]

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[ITA]

CHIAMATA NO BORDERS ALLA LOTTA INTERNAZIONALE PER LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO – domenica 4 ottobre manifestazione a Ventimiglia

All’alba di Mercoledì 30 Settembre due ruspe e tre camion hanno distrutto in sei ore un luogo di solidarietà costruito in oltre tre mesi grazie al supporto dei migranti in viaggio e dei solidali di tutta Europa. Hanno pensato che oltre alle tende, alla cucina, alle docce, avrebbero demolito anche il cuore della lotta No Borders. Si sbagliano: il Presidio ha mostrato di valicare ogni barriera fisica e materiale contrapponendo alle barriere la costruzione comune di un territorio di solidarietà, relazioni e lotta internazionale per la liberà di movimento per tutte/i e contro ogni confine.

Quello che abbiamo visto accadere in questi mesi a Ventimiglia, avviene anche altrove: Choucha, Lampedusa, Calais, Parigi, per citarne solo alcuni. Sono altri luoghi di resistenza, posti di frontiera interni ed esterni della “Fortezza Europa”. Spazi di transito dove alla violenza del viaggio, dei maltrattamenti subiti dalla polizia e dai trafficanti, si unisce la violenza del confine materiale, una linea immaginaria militarizzata senza pudore. La violenza di un limbo in cui i migranti diventano pedine da ripartire tra vari stati in un gioco di ambiguità legislative. Vediamo un’Europa che professa libertà di movimento mentre Schenghen si riduce ad ennesimo dispositivo che rafforza le gerarchie tra chi è cittadino e chi non lo è e per questo rimane intrappolato nelle disposizioni di Dublino III, che vincola la domanda d’asilo al primo paese di arrivo.

Sappiamo bene che il controllo non è l’unica strategia messa in campo nella gestione della migrazione: quel che denunciamo, oltre alla chiusura dei confini, è il drenaggio classista e razziale dei flussi, attraverso cui gli stati cercano di accaparrarsi la manodopera più qualificata, talvolta creando un vero e proprio “business dell’accoglienza” in cui i rifugiati diventano possibilità di profitto per le cooperative, talvolta attraverso lo sfruttamento redditizio dell’illegalità, sistematicamente infine nello sfruttamento sul lavoro.

Meno di un mese fa scrivevano che a Ventimiglia non c’erano più migranti, e in poco tempo il nostro campo ospitava 220 migranti in transito. Oggi viene scritto che la giornata del 30 settembre, iniziata con uno sgombero e finita con la spartizione degli ottanta presidianti tra commissariato, carabinieri e Croce Rossa, “è stata una giornata di soluzioni”.
Il confine resta però chiuso e i migranti che erano disposti a rischiare la propria vita sugli scogli per rivendicare il diritto all’autodeterminazione, sono ora per strada.

I solidali restano con loro. Loro restano con i solidali. Resteremo uniti nella lotta finché “le soluzioni” pensate non portino all’apertura del confine: é questa la decisione che ha concluso la prima assemblea del No Borders Camp in esilio.
Distruggere le nostre cose, circondarci con centinaia di agenti e decine di blindati, non è una risposta al problema dell’abominio rappresentato dai respingimenti in frontiera.

I migranti arriveranno ancora, e le stesse violazioni saranno perpetrate. Ci hanno tolto casa ma non ci hanno fermato. Oggi siamo più forti, più determinati e ancora più uniti.
Chiamiamo con un appello internazionale chiunque sia convinto, assieme a noi, che la storia della lotta contro i confini sia solo all’inizio e che oggi, ancora più che ieri, sia il momento di gridare con tutte le nostre voci:

WE ARE NOT GOING BACK!

DOMENICA 4 OTTOBRE 2015 ORE 14:30 ALLA STAZIONE DI VENTIMIGLIA
MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALE

HURRYA!

Presidio permanente No Borders Ventimiglia in exile
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Uniti abbiamo resistito e uniti ripartiamo! [ITA]

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La giornata dell’11 giugno ha dato inizio ad una resistenza che ha messo in imbarazzo i governi e le forze di polizia di Italia e Francia. Ieri 30 Settembre, come il 16 giugno quando il primo tentativo di sgombero fallì miseramente, chi cerca di imporre dei confini alla nostra libertà ha perso. Dopo quasi quattro mesi di lotta, che ha visto migranti e solidali unirsi contro la materialità dei confini e la loro logica opprimente, è stato distrutto il campo che era la nostra casa, ma non la forma di vita che insieme abbiamo costruito e l’organizzazione comune della lotta, presente e a venire, contro tutti i confini.

Alle 5:30 uno schieramento di dodici camionette e 250 uomini in divisa, tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ecc. ha dato inizio all’operazione di “devastazione e saccheggio” del presidio permanente No Borders, costringendo un ottantina di persone, tra migranti in viaggio e solidali, a ritornare sulla scogliera come all’inizio, in quei giorni di giugno in cui nacque il presidio. Un luogo per noi centrale, il luogo di origine di questa lotta: siamo andati lì non solo per mera difesa ma perché quel posto è dove è nato quel “noi” che è la forza, la potenza di questo movimento.

Con ruspe ed enormi contenitori di immondizia si è consumato uno sgombero meditato da tempo. Hanno spazzato via le tende, i vestiti, il cibo, le brochures informative, i libri, i materiali per le lezioni di inglese, francese, arabo, le chitarre, i palloni, i mobili auto-costruiti, le docce, i bagni.

La violenza devastatrice di quelle ruspe ha tentato di cancellare il lavoro di mesi di autorganizzazione, che ha mobilitato la solidarietà di tantissime persone, tra migranti, attivisti da tutta Europa, persone solidali giunte a portare pacchi di pasta, latte, acqua, le proprie competenze, la voglia di mettersi in relazione.

L’esperienza del presidio è ed era fatta di corpi, di sguardi, nel continuo sforzo di conoscersi, di raccontarsi anche oltre le barriere della lingua. È ed era l’immediatezza delle relazioni, del vivere insieme, del costruire, insieme alla frustrazione di avere di fronte una barriera che costantemente rinfaccia la minaccia dell’espulsione, che costantemente riproduce il volto brutale dell’Europa. È ed era anche una forza che si esprime nelle “battiture” davanti la frontiera, nelle improvvisazioni musicali, nella convinzione di non essere soli, di lottare insieme. A Ventimiglia c’era e rimane il dirompente desiderio di libertà.

Abbiamo sgomberato il presidio, non i migranti”, ha detto il sindaco di Ventimiglia Ioculano.

Quel che tentano di spazzare via quelle ruspe – sotto gli occhi vigili di poliziotti armati fino ai denti – è soprattutto un percorso di autogestione, di lotta, che avviene in primo luogo attraverso l’immediatezza del vivere insieme, la potenza e la forza di diventare un “noi”. Contro la forza delle divise, presenti in un numero spropositato, stava e sta la forza e la dignità di stare insieme e lottare per la libertà.

In stato di assedio e accerchiati dalle forze dell’ordine noi, resistenti degli scogli, abbiamo dato prova di forza e unità per le dodici ore a seguire. Forti solo nel numero e nei mezzi, gli uomini in divisa hanno minacciato denunce e identificazioni nei confronti dei migranti, nonché ulteriori denunce e fogli di via per i solidali. Non sono riusciti, come credevano, a risolvere “il problema” in poche ore. L’unico accordo possibile partiva dalla condizione che i migranti in viaggio, una cinquantina, non avrebbero subito conseguenze di alcun tipo, fosse essa una denuncia o un’identificazione e inserimento nel sistema Eurodac, e così è stato.

Durante la giornata è stata manifestata chiaramente la volontà di non cedere di fronte le intimidazioni e le pressioni ricevute; mentre da fuori le tante iniziative di solidarietà, da Mentone a Lampedusa, Roma, Milano, Bologna, Torino e Toulouse ecc., davano forza a chi resisteva. Nel frattempo, mentre la lotta proseguiva sugli scogli, tanti dei nostri sono stati portati via dalle forze dell’ordine e chi si avvicinava nel tentativo di dare la propria solidarietà attiva e materiale (cibo e acqua) veniva allontanato, tenuto a distanza o preso dalla polizia, identificato e denunciato. Un semplice “hurriya” gridato da lontano è costato a qualcuno cinque ore di commissariato.

Per ore siamo stati insieme sugli scogli, senza acqua e cibo, abbiamo condiviso paure, energie e voglia di resistere. La controparte, cioè il ministero dell’interno, constatato che non era possibile sgomberare gli scogli senza quello che viene chiamato “danno di immagine”, ha accettato la mediazione del Vescovo sulle posizioni dei migranti e solidali sugli scogli. Insieme abbiamo lasciato gli scogli, uniti oggi come negli ultimi quasi quattro mesi di lotta. Inevitabilmente la conclusione della trattativa ha determinato la divisione del gruppo, e non è stato facile accettarlo. I migranti hanno raggiunto il centro di accoglienza gestito dalla croce rossa con i mezzi messi a disposizione dalla Caritas e senza essere identificati dalle forze di polizia. Gli/le attivisti/e sono stati presi dalle forze di polizia che alla luce della situazione che vedeva ancora tanti solidali mobilitati li ha rilasciati in poco tempo e senza alcun foglio di via, dopo averli comunque sottoposti a identificazione e iscritti nel registro degli indagati per invasione di terreni o edifici. La sera stessa eravamo di nuovo insieme, convinti di voler continuare a lottare.

Una ventina di migranti, che non sono riusciti a raggiungere gli scogli sono stati presi durante i primi momenti dello sgombero, portati all’ aereoporto di Genova e deportati al CARA di Bari. Al momento non sappiamo se su di loro pende un procedimento di rimpatrio o hanno subito “solo” la riammissione in Italia e l’identificazione, e stiamo seguendo la cosa con l’aiuto degli avvocati e delle reti di solidarietà per capire cosa si devono aspettare questi ragazzi e come supportarli.

Nello stesso giorno a Nizza un nostro compagno è stato processato e condannato a 6 mesi (pena sospesa), 150 ore di lavoro per lo stato e 1600 euro di danni alla poliziotta della PAF che l’ha denunciato. Questa sentenza, a cui faremo appello, è frutto del clima di razzismo istituzionale che sta caratterizzando il dipartimento della Alpi Marittime, con la quotidiana criminalizzazione di migranti e solidali. Denunciamo inoltre l’ingiustizia di una corte che non ha tenuto conto dell”impossibilità per i testimoni di raggiungere il tribunale (essendo questi sugli scogli di Ponte San Ludovico) quale motivazione per la richiesta di rinvio. Denunciamo infine il pregiudizio evidente nei confronti del nostro compagno e la falsità delle accuse a suo carico.

A tutti coloro che in questa giornata hanno subito la repressione di Italia e Francia nella lotta contro i confini nella forma del fermo, dell’arresto, della condanna, della deportazione, dell’identificazione ecc. va la nostra solidarietà e la promessa che nessuno verrà lasciato solo di fronte a tanta ingiustizia.

E’ evidente che la mediazione trovata non è un punto d’equilibrio, ma un momento della resistenza. La verità è che al di là della vetrina turistica della riviera, il problema della libertà di circolazione rimane, e la chiusura delle frontiere è un fatto scandaloso che genera condizioni di ingiustizia a cui non si può rimanere indifferenti. Il centro della Croce Rossa in stazione esplode di persone in viaggio, ed è quindi evidente che rimane il bisogno di spazi di supporto ai migranti in transito.

Hanno distrutto un luogo, una casa, un rifugio per molti. Hanno distrutto un Presidio, ma non un percorso di lotta, perché Ventimiglia non e’ solo un luogo. Ventimiglia e’ un’idea di resistenza che poggia su una rete di solidarietà consolidata in questi tre mesi e mezzo, che nessuna ruspa e nessuno sgombero riuscirà a smantellare.

PER QUESTE RAGIONI E ALTRE CHE AVREMO MODO DI ESPRIMERE NELLE PROSSIME ORE INVITIAMO TUTTE E TUTTI A MOBILITARSI PER UNA MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALE DOMENICA 4 OTTOBRE ALLE 14 A PARTIRE DAL PIAZZALE DELLA STAZIONE DI VENTIMIGLIA .

Ventimiglia e’ ovunque e la solidarietà è la nostra arma.

WE ARE NOT GOING BACK!

Presidio Permanente No Borders Ventimiglia in exile

we are not going back, we need to go – the night of 23 august

[ITA]

Il 23 agosto, un giorno come gli altri, una notte come le altre, delle donne, degli uomini, dei bambini sono imprigionate/i dalla police aux frontiers in dei container recintati da transenne, davanti alle quali dei poliziotti montano la guardia. Questa situazione si protrae da mesi, da anni. Qui non viene dato cibo né medicinali, non ci sono interpreti né avvocati. Una vera e propria zona di non-diritto, dove i poliziotti fanno quello che vogliono ed espellono chi vogliono verso l’Italia.

Questa notte però è diversa perché delle persone non restano indifferenti e salgono a vedere cosa succede, per avere notizie della condizione dei reclusi, per sapere cosa sta succedendo. Una persona si rivolge alle/ai migranti in arabo per informarli del loro diritto di ricevere l’assistenza di un avvocato, di un interprete, di un medico. I poliziotti presenti non capiscono niente dello scambio verbale e si innervosiscono rapidamente. Un uomo in borghese esce dal commissariato, è nervoso, molto aggressivo. Grida addosso alle persone recluse in una lingua che non capiscono, batte con il manganello sulle transenne per fargli capire che se non stanno zitti saranno picchiati. Una persona chiede ai poliziotti di calmarlo, ricordandogli che tra le persone recluse ci sono dei minori che subiscono quotidianamente la loro violenza e che tutti sanno che gli arresti e le condizioni di detenzione e di espulsione sono illegali.
A quelle parole i poliziotti lo aggrediscono, lo buttano sul pavimento del commissariato, lo ammanettano, lo stringono alla gola per farlo smettere di respirare e lo picchiano sul volto. In seguito viene condotto all’ospedale, lungo la strada la scorta ricomincia a colpirlo e minacciarlo perché ha riferito agli agenti appostati davanti al commissariato le violenze subite durante e dopo l’arresto.
I suoi diritti gli saranno notificati solo alcune ore dopo l’arresto. Apprende, senza grande stupore, le assurde accuse avanzate dai poliziotti: oltraggio e resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Una volta arrivati all’ospedale i poliziotti si rifiutano di fargli vedere un medico e di farlo mangiare.

Ancor prima di essere ascoltato da un ufficiale di polizia giudiziaria, i poliziotti hanno contattato i media locali per coprire le loro violenze e diffondere le proprie menzogne. In questo saranno presto sostenuti dal gabinetto del Prefetto delle Alpi Marittime, dal tribunale, da un sindacato di polizia e, qualche giorno più tardi, dal Front National. Il tentativo è quello di far passare il caso come un fatto eccezionale, dichiarando il falso ai media, che riportano che la persona arrestata sarebbe stata in stato di ebrezza, che avrebbe aggredito i poliziotti o ancora che alcune delle persone recluse sarebbero scappate.
Appena terminato l’interrogatorio, è convocato al processo per direttissima. Eppure il tribunale non gli ha notificato la denuncia, impedendogli di essere giudicato e obbligandolo così a passere undici giorni in detenzione provvisoria. L’udienza è rimandata a mercoledì 30 settembre al tribunale correzionale di Nizza.

Si tratta di una notte che non ha nulla di eccezionale e le violenze della polizia non sono appannaggio esclusivo della persona arrestata quella sera. Allo stesso modo i sostegni concreti ai rifugiati non vengono esclusivamente da una “sinistra estremista che cerca lo scontro con le forze dell’ordine” (con le parole usate dalla Prefettura delle Alpi Marittime e dal Front National). Gli strangolamenti e le percosse sono pratica comune per la polizia e numerose persone sono decedute in seguito a tali trattamenti. Ricordiamoci che quest’anno un uomo è morto prima di arrivare al commissariato per aver subito tecniche di strangolamento e soffocamento concepite per rendere inermi le persone. Con queste tecniche le forze fisiche diminuiscano rapidamente e si sente l’angoscia e la paura della morte immediata. Attraverso questa pratica criminale si cerca di abbattere le difese fisiche e psicologiche della persona, di far sì che obbedisca più docilmente alle umiliazioni dei poliziotti e che dica quel che vogliono sentirsi dire. Questa brutalità selvaggia si riversa più spesso nei confronti di neri, arabi e rom, in zone dove lo Stato concentra una forte presenza poliziesca per poter così dire di lottare contro la criminalità.
Ci sono attualmente 700 poliziotti (che presto saranno 1200) dispiegati sulla frontiera franco-italiana per lottare contro la criminalità. Qual’è questa criminalità? L’entrata irregolare sul territorio francese da parte di persone che per la maggior parte vogliono solamente attraversarlo, per arrivare in paesi dove si trovano già le loro famiglie o dove si parla una lingua che conoscono. Si tratta di persone che fuggono da paesi in guerra o governati da dittatori che assecondano gli interessi dei paesi europei. Queste stesse parole, “lotta contro la criminalità”, sono le stesse utilizzate negli anni ’80 contro gli abitanti dei quartieri popolari, così come le pratiche razziste utilizzate alla frontiera sono le stesse impiegate altrove. L’intensificazione dei controlli d’identità ha luogo anche nelle zone dove circolano i neri, gli arabi, i rom, i poveri. E’ in queste stesse zone che i poliziotti picchiano, soffocano e uccidono, quegli stessi poliziotti che sono quasi sempre bianchi, che impiegano un linguaggio coloniale da secolo scorso e utilizzano senza remore una violenza brutale e selvaggia.

Le frontiere già uccidono da tempo e uccideranno sempre di più! Mentre la Francia discute delle quote di rifugiati, lo stato ungherese autorizza l’esercito a sparare sui rifugiati e il Mediterraneo è sempre più militarizzato! Un mese fa, un’imbarcazione della marina greca ha tentato di far affondare una barca di rifugiati in piena notte! La frontiera franco-italiana è già militarizzata con i gendarmi dal lato francese e i carabinieri da quello italiano, degli elicotteri che sorvolano la zona e delle barche della marina che sorvegliano le coste.

Non è così inutile ricordare che gli esili sono il risultato di una politica imperialista e coloniale. Dopo l’invasione del Medio Oriente da parte degli Stati Uniti e dei loro complici europei, molti paesi nella regione sono totalmente instabili e le popolazioni civili vi muoiono ogni giorno. La stessa cosa vale per il Sudan o anche i paesi del Sahel. Dietro a ogni conflitto armato, ci sono degli interessi e delle strategie geopolitiche che sono favorevoli agli europei del vecchio continente e del nuovo mondo. Invece di assumersi le loro responsabilità aprendo le frontiere per accogliere almeno i rifugiati di guerra, gli stati più ricchi del mondo maltrattano degli uomini, delle donne e dei bambini per deportarli verso paesi dove la loro vita corre un rischio reale e immediato. Come se non bastasse sostengono il mercato delle armi, stimolano l’istallazione di fili elettrificati alle frontiere esterne dell’Europa e continuano a utilizzare il razzismo come criterio di selezione dei rifugiati.

Nonostante le violenze e le umiliazioni imposte dagli Stati europei e l’approccio razzista e coloniale nell’affrontare politicamente l’arrivo dei rifugiati di guerra in Europa, alcune persone si organizzano ogni giorno per lottare contro le frontiere, resistere alle oppressioni quotidiane e vivere con dignità. Il Presidio No Border Ventimiglia è nato dalla resistenza delle/dei migranti che, per contestare la chiusura della frontiera franco-italiana, hanno occupato prima la strada e poi gli scogli. Ogni giorno, ci sono sempre più migranti che raggiungono il campo dove trovano un luogo di riposo, di organizzazione egalitaria e di rivendicazione politica. Qui, inoltre, ci si batte contro il razzismo, innanzitutto tra noi. Questa resistenza non è isolata. Da anni in Francia, ci sono persone che si organizzano contro le violenze poliziesche e il razzismo di Stato che si dispiega in ogni momento e a tutti i livelli.
Il prossimo 31 ottobre ci sarà una marcia per la dignità e contro il razzismo. Noi ci associamo da ora a questa lotta che ha origine dalle stesse preoccupazioni e per obiettivo le stesse strutture di questa società razzista e coloniale.
Il 30 settembre, invece, ritroviamoci alle 13 davanti al tribunale correzionale di Nizza contro il colonialismo, il razzismo di Stato e le violenze poliziesche.

We are not going back, we need to go!
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Comunicato delle donne del presidio No Borders di Ventimiglia [ITA-FRA-ENG]

[ITA]

Il presidio No Borders di Ventimiglia è una comunità fondata sull’autogestione.
Come tale si basa su un’etica che fa riferimento ai principi dell’antirazzismo, dell’antisessismo e dell’antifascismo. La lotta contro la frontiera geografica e amministrativa che costituisce la base politica del campo no border si declina anche lottando contro quelle barriere che quotidianamente determinano rapporti di potere fondati sulla razza, sul sesso o sul genere; e che da questi vengono a loro volta determinate. La pratica dell’autogestione non si limita alla lotta contro una sola di queste barriere, ma implica una costante messa in discussione di tutte le frontiere, quale che sia il potere che le sostiene.
All’interno della comunità costituita dal campo No Borders di Ventimiglia, ogni persona è libera di esprimere la propria soggettività, nel rispetto reciproco della convivenza e nella condivisione dei principi su cui questo si basa (antifascismo, antirazzismo, antisessismo).
Il presidio lavora costantemente per diventare uno spazio liberato, affrontando giorno dopo giorno le contraddizioni tipiche della società in cui viviamo.
All’interno del presidio scegliamo di non essere né investigatori né giudici, ma di riuscire a creare le condizioni migliori affinché la voce di chi vive una situazione di qualsiasi tipo di violenza venga ascoltata. Il confronto, l’ascolto e l’orizzontalità hanno portato, in alcuni casi, alla decisione collettiva dell’allontanamento di persone che non volevano vivere secondo i principi e le pratiche dell’autogestione.
Crediamo che solo in questo modo si possa contribuire alla crescita di uno spazio liberato.

Come donne del presidio di Ventimiglia ci fa schifo che venga utilizzato di nuovo il nostro corpo come strumento di ricatto.
Al presidio combattiamo la cultura della stupro che da legittimità ad una denuncia di violenza, da parte di una donna, solamente nel caso in cui questa sia confermata da un’autorità medico-giuridica. Da secoli la cultura machista in cui viviamo ci sottopone ad una messa in discussione della veridicità delle nostre parole. Accusate di essere pazze, isteriche, irrazionali, per natura, possiamo parlare solamente se un’autorità determina la nostra credibilità.
Noi alla voce di una donna che dice di avere subito una violenza abbiamo dato, diamo e daremo sempre ascolto e supporto, senza che un medico, un giudice o un poliziotto ne debba prima confermare le parole. Lottiamo ogni giorno perché il presidio No Border sia uno spazio di sicurezza per ogni donna che lo vive e attraversa.

We are not going back
Le donne del presidio No Borders di Ventimiglia

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